29 Maggio 2023

Regole utilizzo perdite pregresse

 

Il computo in diminuzione dal reddito imponibile delle perdite pregresse è una facoltà, con regole chiare e rigide eccezioni. Cancellato il limite temporale alla riportabilità a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 23, comma 9, del Decreto Legge n. 98 del 2011, la gestione delle perdite pregresse conquista spazio all’interno della dichiarazione dei redditi delle società di capitali.

Ai sensi dell’articolo 84 del TUIR la perdita di un periodo d’imposta può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi, senza più alcun limite temporale, nella misura massima dell’ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza in tale ultimo ammontare. Di contro le perdite realizzate nei primi tre anni d’imposta dalla data di costituzione, a condizione che si riferiscano ad una nuova attività, possono essere computate in diminuzione del reddito complessivo, senza limiti temporali, e nemmeno quantitativi, entro il limite del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza nel reddito imponibile stesso.

In assenza di una prescrizione normativa di coordinamento, secondo l’Amministrazione finanziaria la riforma non stabilisce alcun ordine di priorità nell’utilizzo delle perdite pregresse, in parte riferibili ai primi tre periodi d’imposta e in parte ai successivi (Circolare n. 25/E del 2012).

Al contrario, secondo la stessa Agenza delle entrate, resta ferma la regola secondo cui l’ammontare delle perdite pregresse, nonostante il verbo utilizzato dal Legislatore (“la perdita di un periodo d’imposta […] può essere computata”), deve obbligatoriamente essere computato in diminuzione dai risultati dei periodi d’imposta successivi, a partire dal primo periodo d’imposta utile, senza alcuna facoltà di scelta per il contribuente (Risoluzione n. 87/E del 2013). Seconda tale ultima posizione il mancato utilizzo delle perdite compensabili, trattandosi di un obbligo, comporterebbe la decadenza del diritto di riporto in avanti, ovvero l’inutilizzabilità delle perdite nei periodi successivi.

Applicando tale interpretazione, che non trova tuttavia sostegno nel testo normativo e nemmeno nella giurisprudenza, ipotizzando un risultato dell’esercizio “n” di 50.000 euro e perdite pregresse pari a 100.000 euro maturate nei periodi d’imposta successivi al primo triennio, il contribuente sarebbe sempre obbligato a imputare in diminuzioni del risultato di esercizio 40.000 euro di tali perdite, ovvero le perdite pregresse disponibili nel limite del 80 per cento del reddito complessivo.

Diversamente dall’Amministrazione finanziaria, fra obbligo e facoltà, la Corte di Cassazione ha scelto la facoltà. Nell’ampio filone giurisprudenziale dedicato alle regole di emendabilità della dichiarazione dei redditi e sulla differenza fra dichiarazione di scienza e atto negoziale, la Suprema Corte ha affermato che l’esercizio della facoltà di opzione, riservata al contribuente dall’articolo 84 del TUIR, di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi, portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzare dette perdite riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi d’imposta successivi, costituisce una facoltà, ovvero una manifestazione di volontà negoziale, e non una mera dichiarazione di scienza (Cass. n. 8195 del 2019, Cass. n. 5105 del 2019, Cass. n. 15452 del 2010). Una scelta da esercitare, ma pur sempre una scelta nella piena disponibilità del contribuente.

Secondo la Corte di Cassazione, pertanto, il contribuente, pur nel rispetto dei limiti previsti dall’articolo 84 del TUIR, può scegliere come e quando utilizzare le perdite pregresse. Questo significa, tornando al nostro esempio, che il contribuente potrebbe valutare di non imputare le perdite pregresse a riduzione del reddito imponibile del primo risultato utile, preferendo utilizzare un credito d’imposta la cui utilizzazione è soggetta a un termine di scadenza.

Si colga che, indipendentemente dalla diversità di vedute fra Amministrazione finanziaria e Corte di Cassazione, la regola di utilizzo subisce comunque una rilevante eccezione in presenza di ritenute d’acconto, crediti ed eccedenze scomputabili. L’articolo 84 del TUIR, al fine di evitare che l’imposta corrispondente al reddito imponibile, assunto al netto della perdita utilizzabile, sia insufficiente a compensare eventuali crediti a disposizione, ritenute ed eccedenze, attribuisce al contribuente la facoltà di decidere se compensare tutti al perdita possibile ovvero utilizzare solo la quota parte di perdita necessaria all’emersione di un reddito imponibile al quale corrisponda un’imposta lorda interamente assorbita dai predetti crediti, ritenute ed eccedenze.

Questo è il caso, oggi diffuso, della società che abbia acquisito crediti d’imposta a seguito dell’esercizio di sconti sul corrispettivo in scadenza al 31 dicembre 2023. Ipotizzando che non vi siano altri importi da compensare e crediti residui in scadenza di 7.200 euro, il contribuente può decidere di imputare perdite per soli 20.000 euro, così da ridurre l’imposta IRES a 7.200 (30.000 x 24%), corrispondente al credito d’imposta da utilizzare.

Si tratta, in buona sostanza, dello stesso principio indicato nel Principio di Diritto n. 7 del 2021 con riferimento alla convivenza fra perdite pregresse e deduzione ACE. Quello che dovrebbe accadere, ma sul punto manca un pronunciamento chiaro di prassi e giurisprudenza, per le detrazioni fiscali. Tornando per l’ultima volta all’esempio proposto, la scelta di convenienza e, quindi, l’entità di perdita da computare in diminuzione, potrebbe essere esercitata per ridurre l’imposta dovuta all’entità delle detrazioni disponibili. Così da azzerare il debito d’imposta