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18 Gennaio 2022

Rivalutazione avviamento e marchi dopo la legge 234/2021 (legge di Bilancio 2022) : Considerazioni personali

 

La legge di Bilancio del 2022 porta in dote la modifica, già preannunciata nello scorso autunno, della rivisitazione delle aliquote di ammortamento fiscalmente ammesse per i beni immateriali già oggetto di rivalutazione ai sensi del DL 104 del 2020.

Come noto, l’articolo 1, cc. 622-624 della Legge di Bilancio 2022 (L. 234/2021) ha modificato retroattivamente il regime fiscale della rivalutazione di marchi e avviamento, prevedendo l’innalzamento a 50 anni del periodo nel quale ammortizzare il maggior valore iscritto in 18 anni come previsto nella stesura originaria del DL 104/2020.

Tralasciamo accuratamente qualsiasi considerazione di natura giuridica e costituzionale su questo sgambetto da parte del legislatore fiscale, perché se è facile invocare

  • lo statuto del contribuente ampiamente dimenticato,
  • i principi costituzionali,
  • la certezza del diritto,
  • la credibilità delle istituzioni
  • il buon senso e la credibilità del nostro legislatore

risulta invece difficile poter intervenire in maniera fattiva e concreta su questa posizione che i contribuenti devono subire.

L’aver cambiato le regole del gioco fissate per legge 12 mesi prima è di certo una grande scorrettezza che viene giustificata da errori nella stima degli effetti fiscali per i prossimi anni perpetrata da parte del legislatore: peccato che la regola che chi sbaglia paga in questo caso non si applichi.

È di tutta evidenza che questi sono gli effetti del grande successo che la norma prevista per la rivalutazione dei beni immateriali nel DL 104/2020 ha ottenuto, al di là delle previsioni: ciò significa anche che la platea dei contribuenti interessati sicuramente è numerosa.

Il contributo che vogliamo fornire è legato alle alternative della legge di bilancio che si palesano per i destinatari della norma:

  1. accettare la riduzione della deducibilità fiscale tra 18 a 50 anni
  2. versare una ulteriore imposta del 9% fino a 5 milioni e di importi crescente per importi più elevati) (11% fra 5 e 10 milioni e 13% oltre i 10 milioni)
  3. revocare la rivalutazione del 2020 mediante l’approvazione di un nuovo bilancio dell’esercizio chiuso al 31/12/2020 che non tenga conto delle risultanze delle rivalutazioni un getto, con restituzione delle imposte sino ad ora versate

La seguente tabella, che ha come esempio una rivalutazione effettuata per un importo di 1 milione di euro, permette di comprendere quale siano gli effetti e le conseguenze della variazione intervenuta con la modifica della deducibilità fiscale da 18 a 50 anni.

Importo rivalutazione Anni Imposte annuali Imposta versata 3% Recupero in anni
Costo deducibile annuale
1.000.000 18 55.556 15.500 30.000 1,94
1.000.000 50 20.000 5.580 30.000 5,38

 

In pratica l’imposta dovuta del 3% (della quale potrebbe essere stata versata sino ad ora anche solo la prima di tre rate annuali) per la quale si immaginava un recupero tramite il risparmio fiscale sui maggiori ammortamenti in meno di 2 anni, viene invece adesso (post modifica) ad essere recuperata in poco più di 5 anni.

Il nostro pensiero è rivolto principalmente alle piccole medie imprese per le quali la rivalutazione dei beni materiali è avvenuta sulla base di principi prevalentemente di natura aziendalistica e non fiscale, e di certo non nell’ottica di una cessione a breve dei beni rivalutati.

Tanto più che, tralasciando i tecnicismi normativi, la modifica legislativa intervenuta prevede un meccanismo di completa neutralità della deducibilità in 50 anni in tutti i casi di cessione, minusvalenza o assegnazione.

Pertanto, ci preme segnalare che l’aver espresso nei bilanci il valore dei nostri beni immateriali a valori correnti comporta il più delle volte, per le nostre piccole medie imprese, dei grandi vantaggi che esulano completamente dagli aspetti fiscali.

Tutto ciò è facile da comprendere con la semplice esemplificazione riferita ai marchi registrati.

I bilanci ante rivalutazione recepivano solamente i costi storici di registrazione avvenuti anni fa, senza dare evidenza numerica dei percorsi di crescita e di valorizzazione che sono intervenuti nel frattempo: i marchi si sono imposti sul mercato, spinti dalla crescita dei volumi di vendita e dal buon nome commerciale dei prodotti.

Poter esprimere il valore del marchio in bilancio significa dare il corretto ruolo e peso ad un asset importante che va a condizionare anche che tutte le valorizzazioni aziendali successive, con una corretta e chiara rappresentazione già espressa numericamente.

Gli effetti positivi ovviamente si estendono anche al patrimonio netto, con l’evidenziazione di una riserva di rivalutazione che va a potenziare i mezzi propri. Sebbene la riserva di rivalutazione sia inizialmente da considerare rigorosamente in sospensione d’imposta, la stessa potrebbe essere stata oggetto di affrancamento (anche solo parzialmente) dell’imposta sostitutiva del 10% oppure può sempre essere utilizzata ad aumento del capitale sociale, mantenendo comunque la propria natura di riserva in sospensione d’imposta (seppur ricompresa nel capitale sociale)

Per tutti questi motivi, benché molto delusi dal comportamento del legislatore, che ha privilegiato nella redazione della legge finanziaria categorie diverse di contribuenti rispetto alle società di capitali, riteniamo che il mantenere i beni rivalutati in bilancio abbia ragione opportunità e vantaggi seppur con il diverso beneficio fiscale che abbiamo sopra riscontrato.

Unica eccezione in questo contesto può essere riferita a chi aveva invece ipotizzato la cessione dei beni immateriali rivalutati in un futuro abbastanza prossimo.

In questo caso i progetti iniziali vengono ad essere completamente rivisitati, e probabilmente si potrà valutare la revoca della rivalutazione effettuata con l’approvazione del bilancio del 2021, da porre a confronto con altri strumenti atti validi a permettere il trasferimento del bene materiale con degli impatti fiscali ridotti.

Fabrizio Giola